Storia di Billy: Capitolo #2

Il mio Ego seduto su una panchina.

“Io non esisto, Billy non esiste”. Continuavo a ripetermi questa frase, la facevo girare nella mia testa come un vecchio disco gracchiante in vinile. Nei giorni successivi all’incontro con il mio vecchio amico Billy non accadde nulla di particolare. Mi svegliavo come al solito la mattina molto presto e raggiungevo il posto di lavoro in bici.

A gennaio non è sempre piacevole, il freddo entra dalle narici e sembra congelarti i polmoni. Ma alle 6 del mattino ogni cosa assume un fascino misterioso. Durante il tragitto i lampioni si spengono e si accendono le prime luci nelle cucine. Senti il profumo di caffè farsi spazio dalle fessure delle finestre e raggiungere la strada che percorri.

“Io non esisto, Billy non esiste” e nel frattempo i bimbi in pigiama, sotto i loro piumini colorati, aprono gli occhi assonnati con un bacio sulla fronte di mamme e papà che corrono al lavoro. “Credi davvero che tutto ciò che stai vedendo intorno a te non esista?”. Mi fermo, prendo fiato e mi do una scrollata per tentare di distrarmi da quella frase sconclusionata. Ma nell’esatto momento in cui lo faccio, buttando lo sguardo verso il parco davanti a me, vedo correre una sagoma familiare.

Dopo aver rivisto Billy al bar ho avuto la certezza che praticasse ancora qualche sport. Fisico asciutto, un quarantenne ancora nel pieno delle sue forze con il fascino crescente tipico dell’età. Guardo l’orologio e mancano ancora circa quaranta minuti alla mia timbratura di ingresso al lavoro. Lo vedo sfrecciare ansimando e decido di inseguirlo.

“Voglio solo chiedergli il numero di telefono” dico tra me e me, “nessun discorso filosofico, devo andare al lavoro”. Poche pedalate e lo affianco con un sorriso smagliante, ma vengo ricambiato da un’occhiata fredda e distaccata. “Non mi avrà riconosciuto…” penso, spingo sui pedali e riesco a piazzarmi davanti a lui per interrompere la sua corsa.

Fumo dalla bocca e dalle narici, sembriamo due draghi che si fronteggiano sulle alture dei paesaggi scozzesi, solo che alle nostre spalle non ci sono azzurri laghi sterminati ma grigie case popolari.

“Billy, sono io, non mi riconosci? Mi sarebbe piaciuto rivederti ma la volta scorsa non mi hai lasciato un tuo recapito telefonico e pensavo…”. Billy mi guarda facendo scorgere il suo sguardo gelido da sotto il cappuccio della felpa. Nessuna tenerezza ed equilibrio nei suoi occhi, ma quel lampo di follia che tante volte, da ragazzi, aveva provocato liti tra noi e risse con gli estranei. Inizio a pensare “Ma chi diamine ho incontrato l’altra sera al bar?”.

“Sei una gran testa di cazzo, certo che ti riconosco…” dice, e continua “hai interrotto con violenza un momento per me molto importante! E lo sai perché lo hai fatto?”. Con tono dispiaciuto provo a giustificarmi: “Beh, certo che lo so. Volevo solo il tuo numero di telefono per…”. “Te lo dico io perché” mi incalza “Perché dovevi soddisfare un tuo bisogno. E’ il tuo Ego che ti ha fatto correre come un forsennato per soddisfare un sua esigenza. Non lo hai fatto per il piacere di rivedermi, non ti sei mosso senza alcuno scopo. Se fosse stato così avresti atteso qualche altra sera al bar, senza aspettative, sino a quando non mi avresti rivisto…”.

Era davvero fuori di sé e non sapevo come fermarlo. Nel frattempo i minuti che mi separavano dall’inizio della mia giornata lavorativa erano sempre meno ed iniziai ad agitarmi. A quel punto Billy smette di parlare, mi scruta e cambiando radicalmente il suo modo di guardarmi indica una panchina facendo un cenno con la testa. “Non posso…” gli rispondo “…Non posso permettermi un ritardo o ancora peggio una assenza ingiustificata dal lavoro”.

Billy inizia a ridere rumorosamente mettendomi in imbarazzo. Lo guardo perplesso e, non nascondo, anche un pò preoccupato. Quindi mi dice : “Non voglio invitarti a sedere con me. Ho ben altro da fare. Voglio solo che tu faccia una cosa molto semplice.”. “Cosa?”, gli chiedo incuriosito. “Fermati per qualche minuto e lascia su quella panchina il tuo ego. Quel simpatico amico che ti fa pensare solo a te stesso. Che ti ha fatto tagliare la strada a Billy per un tuo bisogno. Per la necessità di approfondire un argomento che ti ha incuriosito e che ritieni ti possa tornare utile. Ma che non ti fa riflettere sul fatto che gli altri sono importanti come te, se non più di te, e che se proprio vuoi sentirti meglio, basta iniziare a cambiare questa prospettiva.” Quindi conclude “Se davvero hai questa necessità impellente di comprendere un modo per migliorare la tua vita, inizia da questo. Cose semplici, fratello mio…cose semplici. Concentrati ed immagina che, come fumo nero, questa copia di te, esca dal tuo corpo e si vada ad accomodare su quella panchina la’ in fondo.”

Quindi volta le spalle e ricomincia a correre prendendo il percorso diametralmente opposto al mio. Guardo l’orologio e sono già in ritardo. “Dovrò giustificarmi in qualche modo…” penso e mi affretto verso l’ufficio. Aggancio la bici quindi prendo l’ascensore per raggiungere il mio piano. In fondo al corridoio del quarto piano c’è la mia scrivania, la mia esistenza intricata come cavi di PC e telefoni. Mi siedo ed accendo il portatile.

Quindi mi rendo conto, ancora una volta, di non essere riuscito ad avere il numero di telefono di Billy. Appoggio la fronte sul bordo della scrivania e la sbatto ripetutamente sino a quando una collega non si ferma a guardarmi con una certa preoccupazione. Sono al punto di prima. O forse no?

Continua…

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Guglielmo Margio

Foto dal sito Unsplash.com

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