L’empatia può essere la chiave del successo.

Ognuno di noi lo è. Siamo una risorsa, in qualsiasi contesto ci si trovi ad operare. E siamo esseri umani, con tutte le caratteristiche e le complessità che questo comporta. In inglese la definizione è Human Resources, dove la parola “umano” predomina, ha il primo posto, svetta sul concetto complessivo e impregna di significato la definizione. “Human” è come guardare da lontano le mura di una città medievale fortificata. Te ne fai una idea quando parcheggi l’auto al suo esterno, ma non appena ti ci infili dentro, accedendo dalla sua antica porta principale, ti ritrovi in un dedalo di vicoli in cui è facile perdere l’orientamento.

Da tempo aziende ed organizzazioni di ogni genere si sforzano a creare eventi, coinvolgere con riunioni di gruppo, proiettare slide e decantare in modo più o meno autocelebrativo l’attenzione nei confronti dei propri collaboratori. Ma il rischio che il tutto si riduca a semplici esercizi di stile è molto elevato. Perché il rapporto con le proprie risorse umane si costruisce nel quotidiano e comporta uno sforzo imponente in termini di attenzione. E per sviluppare questa cura nel voler valutare una risorsa anche come “umana” è necessaria una preparazione, almeno di base, nel comprendere le dinamiche complesse che muovono pensieri, aspettative, paure e voglia di rischiare. Il dedalo complesso di vicoli di cui parlavo prima, in cui si possono trovare scorci magnifici ma anche anfratti inquietanti.

L’empatia è un termine generico che nasconde qualche insidia. Un Top Manager potrebbe leggere questa parola come sintomo di “debolezza”, trovando una comoda scorciatoia. Ma non significa affatto adattare le esigenze ed aspettative di un azienda ai bisogni del singolo. Sarebbe l’anarchia assoluta. Significa, molto semplicemente, entrare in contatto più profondo con i propri collaboratori, comprendere il modo in cui possono sentirsi, in un ambito lavorativo, più valorizzati, meno soggetti a stress inutili ed improduttivi. Evitare che abbiano la percezione di essere solo “risorse”, ingranaggi facilmente sostituibili, pezzi di un puzzle senza i quali l’immagine appare nitida comunque.

Qualsiasi azienda, organizzazione, gruppo di persone che insieme creano attività produttive, può diventare un “Bene Comune”. E nel bene comune ognuno è importante e fondamentale nel proprio ruolo, qualunque esso sia. Ma se in una Azienda il concetto di “bene comune” non è costruito, il passare all’eccesso opposto è semplice e spesso naturale. E, in qualità di esseri umani, siamo per natura tendenti a fare gruppo, aggregarci per difenderci. Quando una organizzazione e gli uomini che la rappresentano fanno trasparire l’idea di avere a che fare con un “Male Comune”, i giochi sono fatti. I risultati non tarderanno a venire.
Due Libri consigliati sull’argomento sono : “Intelligenza Emotiva” e “Lavorare con Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman ed. Rizzoli.
Al prossimo Post.
Guglielmo Margio