L’ultima faccia del Cubo di Rubik. Accettare che non tutto sia visibile, abbandonarsi al caos…

Essere duri e puri. Non cedere davanti agli impedimenti, anzi dimostrare a sé stessi ed agli altri di resistere, avere il piglio dei veri combattenti. Questo il modello imposto, sponsorizzato dal contesto generale. Circondati da donne e uomini realizzati, che ce la fanno sempre, ci riescono comunque vada. Ce la fanno e basta.

E procedono, resistono, davanti a qualsiasi difficoltà non arretrano mai ed insistono, perché è solo così che si ottiene il successo. Ed alla fine l’agognata meta, il volto perlato da gocce di sudore simile a silicone posato con cura, sorrisi smaglianti che luccicano al sole.

Mi viene in mente il Cubo di Rubik. Nell’atto in cui si stanno per definire le facce di un unico colore, alcune altre sono totalmente confuse. E mentre la determinazione del giocatore tende con sforzo a riportare ordine una faccia per volta, un’ultima, fino alla fine, rimane nel caos più totale. Si trascina sino alla fine ma arriva al risultato finale, comunque. E quella faccia, quell’ultima linea di confine che separa dal risultato finale, è compiuta.

Quell’ultima faccia è il lasciar andare, l’abbandonarsi al flusso. Nulla sarebbe realizzato senza lo sforzo della altre di ricomporsi, la cura e la determinazione, la disciplina accostata al duro lavoro fanno si che il tutto sia completo. Ma il risultato finale tanto desiderato è frutto anche del caos, del disordine, dell’abbandono.

Lasciar andare, mollare la presa in alcune occasioni, è pura filosofia di vita. E’ un bagno caldo, una carezza prima di prender sonno. Avere consapevolezza di aver fatto il massimo per ottenere un risultato, ma nel contempo la lucidità di capire che la completezza si ottiene anche dal dipendere da situazioni non decifrabili. Da una faccia del cubo dissonante dalle altre.

Snodare un palloncino e fare uscire lentamente l’aria, abbandonarsi su un divano, stendere le gambe ed allargare le braccia su un prato al sole. Attendere, saperlo fare. Accettare che non tutto sia visibile, abbandonarsi al caos. Avere la forza di non volere sforzarsi, non più, anche solo per un breve momento. Accettare quella parte colorata e caotica, indecifrabile e quindi inquietante perché indipendente dalla nostra azione. Osservarla, accettarla e lasciarsi trascinare dal suo compiersi.
Non è fatalismo, nessun atto di resa in questo gesto. Pura e semplice presa di coscienza che è pur vero che ogni cosa dipenda da sé stessi, ma non tutto è decifrabile prima di essere giunti alla meta.
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Guglielmo Margio
Foto dal sito Unsplash.com