Ed accedere a nuovi modi di pensare.

Come prendere il caffè la mattina, percorrere la medesima strada conoscendo ogni singolo avvallamento del terreno. Come sistemare il cuscino prima di addormentarsi. Non sempre è detto che il caffè ci faccia bene, che la strada che si percorre sia la migliore possibile, che proprio il nostro cuscino non sia la causa di una fastidiosa cervicale. Nel medesimo modo si hanno attitudini mentali, reazioni e comportamenti di fronte a situazioni o persone senza che se ne abbia la piena consapevolezza.

Le azioni che si possono definire “abitudinarie” si palesano senza un atto mentale che le preceda ed in modo automatico. Nella medesima maniera, quasi speculare, le “abitudini mentali” che emergono autonomamente portano spesso a malesseri di cui, non riuscendo ad intravederne la causa, si soffre. E non si é in grado di trovare una via di uscita. Sono come fronde di un albero che ci segue tenendoci sempre in ombra, anche quando si avrebbe la necessità di vitamina D, di riscaldarsi al sole.

A tutto questo si aggiunga che c’è un minimo di ereditarietà non solo nel patrimonio genetico, ma anche in quelle che possono definirsi reazioni che appaiono naturali, insite nel proprio modo di essere. Si ereditano comportamenti, ansie, paure se non addirittura una visione della vita in generale. Ed avviene nel contesto in cui si cresce, in ambienti familiari così come educativi. Un esempio potrebbe essere il corso di un fiume che dalla sua foce sino al riversarsi tra le onde del mare, scorre portando con sé i sedimenti delle rive, delle lingue di terra che lo circondano. Ed ogni singolo frammento di roccia, una volta riversatosi nella corrente, diventa parte del fiume stesso. Arrivando spesso sino alla fine del suo percorso.

Le abitudini mentali negative sono quelle che procurano sofferenza non appena sorgono. Se solo si utilizzasse un minimo di concentrazione basterebbe poco per riconoscerle. Non servirebbe altro che avere la lucidità di fermarsi non appena ci si accorge di provare un sentimento di rabbia, di gelosia o invidia, di rancore o rammarico. Di paura. Il problema è che non è semplice mettere in pratica tutto questo. Proprio perché si è consolidata l’abitudine a certe sofferenze. Si reputano come parte di sé, se non addirittura l’unica e vera essenza di sé. Sono la strada che si percorre ogni mattina per andare al lavoro, sono il caffè, la posizione del proprio cuscino.

Eppure, così come le abitudini più comuni, è possibile cambiare anche i propri comportamenti, le proprie reazioni quando si è di fronte a difficoltà, situazioni o anche semplici pensieri spiacevoli. Avere la consapevolezza che proprio quelle abitudini creano sofferenza ed iniziare a pensare, attentamente, di non volere soffrire. Perlomeno non sempre nel medesimo modo già sperimentato, già conosciuto e quindi persino banale e scontato. Riconoscerle al loro palesarsi. Avere la determinazione di dirsi, nell’esatto momento in cui fanno capolino : “No. Non voglio…non anche questa volta!”

Ingannare in qualche modo sé stessi, perlomeno all’inizio del percorso. Spiazzarsi e Spezzare la catena. Provare a cambiare quella strada che tanto perfettamente si conosce. Reagire ad una aggressione con un sorriso, anche a costo di sembrare folli. Accettare una difficoltà pensando che sia solo transitoria e non il frutto di un destino avverso. Combattere l’ansia e la paura utilizzando i rispettivi antidoti, rispondendo colpo su colpo con la fiducia, il coraggio, il sapore del bello.

Non trascinarsi scorie e residui, siano essi frutto del passato o comportamenti acquisiti dai propri genitori o da chissà quali altre figure che hanno avuto influenza nel corso della propria esistenza. Cambiare rotta e percorrere un vicolo mai percorso, prendere un tisana al posto del caffè, provare a dormire con un cuscino tra le braccia. Distorcere la propria immagine di sé come in uno specchio del Luna Park per costruirne una diversa.
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Guglielmo Margio
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