Cancellare la lavagna.
Se questa è la sensazione che si prova dopo un sogno, allora rimettetemi a dormire. In genere ho sempre avuto esperienze diametralmente opposte, ho sperimentato quasi sempre il nulla se non addirittura la spiacevole sensazione di volersi risvegliare. Brutti sogni, angoscia, sentirsi tirare giù per le scarpe inghiottito dal pavimento. Tra me e l’esperienza onirica c’è un rapporto conflittuale in cui in genere lo sconfitto sono io. Questa volta è diverso. “Devo dirlo a Billy. Illuminante…” ripenso mentre le mie gambe mi spingono giù per le scale di casa sino a raggiungere la strada che sono certo mi porterà da lui. Voglio avere una interpretazione, anche se non so ancora spiegarmi bene perché io abbia quella netta sensazione che lui possa farlo. Così come non mi è chiara quella certezza di riuscire ad incontrarlo.
Ogni volta che penso al nostro incontro ed a quello che mi ha lasciato dopo avergli parlato mi viene in mente un funambolo. Quella sua sicurezza nei movimenti, quella concentrazione e lo sguardo focalizzato su un punto mentre procede su una corda con il vuoto intorno. Poche parole, nette e piene, una barra da equilibrista che mi ha aiutato a compiere i primi passi su una corda tesa tra due grattacieli. Mentre procedo verso il luogo in cui sono certo di trovarlo, il bar che ormai è una sorta di sede distaccata di casa sua (o forse proprio quel bar è casa sua?) penso che in fondo cos’altro non è questo vivere se non un procedere su una fune?
Gioco quindi con le fughe delle mattonelle del marciapiede, così come si faceva da bambini, tentando in ogni modo di non calpestarle. Un equilibrista tra l’asfalto e le vetrine dei negozi sempre più impolverate e ricoperte di cartelli “Affittasi” e “Cedesi Attività”. Gli sguardi delle persone che incrocio non sempre sono accondiscendenti e partecipi all’azione : chi fa finta di non vedermi (per imbarazzo), chi osserva stranito o disgustato. Solo una bimba mi sorride e nel vedermi arrivare si aggrega al gioco, parandosi di fronte. Con un salto laterale la scanso, ci voltiamo all’unisono scambiandoci un saluto. Mi chiedo perché da adulti si perde questa genuinità, perché ci si vergogna di giocare con delle mattonelle, ma non si prova alcun pudore a giocare ai Videopoker?
Eccomi, sono arrivato all’altezza del bar e già mi assale un’ansia che in altre occasioni avevo provato. Il solito brutto scherzo che gioca l’aspettativa: e se non fosse al bar? Se Billy magari si trovasse in tutt’altro posto? Se non avesse alcuna voglia di ascoltarmi? Sempre il caro vecchio vizio di immaginare, sperare, per poi rimanere il più delle volte deluso. A volte provo stanchezza nei confronti di me stesso, mi sopporto a malapena con quelle cattive abitudini sempre pronte a riemergere.
Sbircio da dietro la vetrina, il tavolo a cui è generalmente seduto è quello nell’angolo in fondo, accanto ai bagni. Metto una mano sulla fronte a coprire il riflesso della luce, intravedo la sua sagoma di spalle. I suoi capelli mi sembrano più lunghi del solito, non li ricordavo così, o forse non li ho mai osservati con troppa attenzione, sempre preso da me stesso e da tutte le mie elucubrazioni mentali. Le sue spalle sembrano inghiottire il tavolino che ha davanti. Delle grandi ali avvolte da un maglione in lana grezza, probabilmente sporca, sicuramente lacera. Entro con disinvoltura, con la manica del giubbotto asciugo alcune gocce di sudore e mi avvicino come se mi trovassi in quel luogo per caso. Non c’è niente di più grottesco di chi si finge a proprio agio mentre è palesemente agitato.
Billy non si volta nemmeno, avrà probabilmente riconosciuto il ritmo dei miei passi, il mio respiro. Sta di fatto che alza la mano sinistra e mi fa cenno con un dito di sedermi accanto a lui. Sul tavolo due bicchieri, uno vuoto proprio di fronte a lui. Poggio la mia mano al centro delle sue scapole, mi viene voglia di abbracciarlo, non so se per la contentezza di averlo trovato o perché ho la certezza che, ancora una volta, mi sorreggerà con le sue parole. “Maledette aspettative” mi ripeto, mentre mi ritrovo già seduto. Mi lancia uno sguardo e la prima impressione che mi rimanda è che sia leggermente ubriaco. Saranno i suoi occhi chiari sempre velati non si sa bene da cosa, che sia tristezza, vita, lacrime di gioia non mi è dato saperlo. Non riesco a leggerli chiaramente, ma riesco comunque a parlare senza timore. E lui non fa nulla per interrompermi, ma è come se già conoscesse la storia. Il fantasma del sogno, le sue parole e quella sensazione di non potergli in alcun modo sfuggire. E quindi la nebbia e tutto il resto, sino ad arrivare al risveglio pieno di serenità. Il “risveglio”, una parola che adesso inizio ad associare a ben altra cosa dal semplice muoversi faticosamente dal letto dopo la notte. E quell’altra parola, il “sonno”, che adesso, proprio mentre descrivo a Billy i dettagli di quanto ho sognato, mi appare più consona alla vita trascorsa ad occhi aperti che non alle parentesi notturne. Quell’illusione di essere svegli mentre si agisce.
Ho finito il racconto, sono esausto, credo di non aver ripreso nemmeno fiato. Una corsa contro il tempo come a voler afferrare ogni dettaglio che i minuti dal risveglio potrebbero rimuovere, il rischio di subire un reset senza backup. “Bella esperienza, fratello, ti è capitata una gran bella cosa…” mi dice senza alzare lo sguardo dal suo bicchiere di birra scura. Ho come la cattiva sensazione che non mi abbia ascoltato, come se avesse sputato fuori una frase di circostanza solo perché il suono spiacevole ed agitato della mia voce ha cessato di inquinare l’aria. Un senso di delusione inizia a fluire in tutto il mio corpo partendo dalle gambe, fino a raggiungere l’esatto centro della fronte, sino a poggiarsi tra le mie sopracciglia. Un punto preciso, il “terzo occhio” a quanto ho sentito dire, o forse l’avrò letto da qualche parte. Mi abbandono sulla sedia, le mani lungo i fianchi scivolando con il bacino sino quasi a cadere. Lo osservo ma non sembra molto colpito dal mio stato.
“Bene fratello…” mi dice con il suo consueto e morbido tono di voce, “diciamo che adesso hai inquadrato un pò meglio tutta l’immondizia che nel tempo hai accumulato nella tua testa, i peggiori scarti che con dovizia di dettagli e precisione chirurgica hai stratificato sul tuo cuore. Ed il bello è che non ti sei nemmeno mai preoccupato di differenziare. Un vero e proprio professionista dell’inquinamento dell’anima. Un malavitoso che ha fatto della propria mente, dei propri pensieri, della propria vita, una discarica a cielo aperto di sentimenti negativi, rancori, paure e visioni distorte di ciò che si ha, di ciò che si desidera erroneamente.” Un pugno allo stomaco. Mi sento stremato ma felice che almeno mi abbia indirizzato alcune parole, esaltato dal fatto che mi abbia ascoltato. Sembra però non aver finito. Versa parte della sua birra nel mio bicchiere, quindi prosegue.
“Adesso pensa, cerca di immaginare che ogni singola azione che hai compiuto sino ad ora, ogni parola che hai detto o anche solo pensato, ogni sentimento che hai provato, hanno lasciato un segno su una grande lavagna, estesa quanto gli anni che hai trascorso su questa splendida terra. Bene, ascolta con attenzione. Se guardi questa superficie di ardesia troverai segni deboli e tracce più marcate che hanno quasi del tutto ricoperto il nero del suo fondo, un groviglio di graffi bianchi sino a comporre un opera confusa. Arte contemporanea realizzata da un inetto, ma non offenderti. Lo sono stato anche io e Dio solo sa quanto ancora ho da imparare. Bene amico mio, questa lavagna, sempre più vasta, sempre più pesante man mano che passano gli anni, la devi momentaneamente scaricare, eliminare dalle tue spalle. Sorretta da scomode bretelle, devi iniziare a sfilare un braccio per volta, sorreggerla ed accompagnarla sino a trovarle un appoggio in un angolo illuminato per bene. Quindi osservarla e procedere dunque ad un solo gesto, un’azione semplice ma continua, efficace. Cancellare”. Billy riprende fiato, butta giù l’intero boccale di birra, quindi continua.
“Questo non significa che ogni segno lasciato è da buttare, ma è di certo nascosto dai tratti confusi dell’insieme. La tua arte, fratello mio, è come se fosse stata ricoperta da secchiate di fango, non è percepibile, non è individuabile in mezzo a tutto quello sporco…” Lo interrompo chiedendogli che tipo di attinenza avessero le sue parole con il sogno, con tutti i suoi simboli. Ma non mi lascia il tempo di continuare, come se mi avesse ascoltato ma senza dare eccessivo peso alle obiezioni.
Quindi mi risponde facendomi comprendere chiaramente di aver esaurito il concetto e probabilmente anche la voglia di proseguire. “Ricordi quando ti raccontai la storia del Koan?” Faccio un cenno con la testa come ad avere bene a mente la cosa, anche se ne non ne ho un’idea precisa, mi sfugge. “Bene, non sempre le parole, i concetti, le immagini e persino i sogni hanno significati espliciti. Sgànciati da questo modo di pensare! Il fantasma del sogno, caro fratello, eri tu. Per questo non riuscivi a sfuggirgli! Quindi come vedi, solo tu puoi suggerire a te stesso la strada. Solo tu puoi indirizzarti verso la soluzione perché sempre tu, checché ne possa pensare e per quanti dubbi tu possa nutrire al riguardo, hai individuato il problema. Hai compreso che i segni lasciati sulla lavagna hanno nascosto quanto di buono avevi realizzato. Questo è il primo vero risveglio. Non una lavagna già pulita con il nero scintillante da poter nuovamente riempire con chissà quali scarabocchi. Non quello! Il primo risveglio è proprio l’aver compreso di avere indosso una enorme struttura di cui si è l’autore in ogni suo dettaglio.”
Sono stremato e nonostante abbia appena finito di dormire sento come una pesantezza alle gambe che mi fa percepire la possibilità di non arrivare neanche ad uscire dal bar. Billy lo capisce, come un pugile che ha sconfitto l’avversario a suon di cazzotti ma che sportivamente lo sorregge sino a portarlo al proprio angolo, mi accompagna a casa. Prima di lasciarci ho quel minimo di forza per chiedergli l’ultima cosa. “Dovrò quindi ripulire al meglio. Come devo fare?”. Billy mi guarda sorridendo, come farebbe un padre quando il proprio figlio gli rivolge una domanda ingenua. Quindi mi raccomanda di non avere fretta, che non tutti gli strumenti di pulizia sono efficaci, che ci vuole destrezza anche per le cose più semplici, eccetera, eccetera, eccetera. Insomma si allontana e prosegue a parlare anche mentre mi da’ le spalle. Questo è Billy. Questo sono io…adesso. E da domani?
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