Il vecchio diario ritrovato.
Pesantezza alla gambe, sento tirare i muscoli ed un bruciore ai polpacci. Mancano circa 2 chilometri per raggiungere casa e se dovessi descrivere la sensazione direi che è come se avessi corso per la mezz’ora precedente. Anche il fiato non mi aiuta: maledette sigarette. Avrò detto a me stesso oltre mille volte che devo smettere. Altro che cancellare la mia lavagna interiore, ci sarebbe da buttare in un cassonetto tutto l’istituto scolastico che mi sono costruito addosso! Eccomi nuovamente solo con quei pensieri disturbanti, ma come si fa ad uscirne? Attraverso la strada su strisce pedonali ormai consumate e quasi invisibili, un autobus tenta di sopprimermi perché ho il passo lento. Il mio dito medio si solleva quasi in automatico. Rabbia, pensieri agitati che fanno aumentare il mio battito cardiaco sempre più irregolare: a volte lento, altre al ritmo di samba. Che strane macchine siamo. Non riusciamo a modulare a nostro piacimento i pensieri, non siamo in grado di vedere cosa accade dentro il nostro corpo. In pratica esistiamo ma non abbiamo il controllo quasi su nulla. Si vive a casaccio ma con l’illusione di poter gestire ogni dettaglio. Come essere al comando di un areo che sfreccia in retromarcia: in cielo non ci si rende conto della direzione se questo è privo di formazioni nuvolose. Comandanti di una nave in mare aperto senza riferimenti di coste, senza una stella in cielo, senza una bussola.

Ci sono quasi, alla prossima curva sarò a casa. Se non ricordo male Beatrice aveva un impegno di lavoro anche nel pomeriggio, di certo i bambini non ci saranno: oggi tocca ai nonni. Sarò solo. Gli ultimi scalini che mi separano dalla porta sono quasi insostenibili ed il dolore alle gambe si fa sempre più acuto. Sento brividi freddo e non appena arrivato mi tuffo pesantemente sul divano cercando la mia vecchia coperta. Non ero mai stato così male, o perlomeno non con questa frequenza, come negli ultimi tempi: sono certo che il mio stato psicologico stia contribuendo a tutto questo, ed inizio ad averne piene le tasche. Mi sono sempre vantato di essere forte e mi ritrovo, nell’arco di poche settimane, a gestire continue emergenze. Preso dai miei pensieri l’occhio si posa sulla libreria di fronte a me. Un guazzabuglio di vecchie edizioni di libri, documenti e cartacce. E su tutto ciò il bordo di una copertina gialla che spicca, sgualcita, dimenticata. Tento di sforzare la vista perché mi riporta alla memoria qualcosa che mi apparteneva e non vedevo da anni, nonostante mi si parasse davanti con regolarità. Mi alzo con difficoltà dal divano, mi ci avvicino lentamente allungando la mano: è il mio vecchio diario di scuola.

Devo fare attenzione affinché non volino via tutte le pagine, sono attaccate le une alle altre non più dalla colla o dalla rilegatura ma dalla forza della disperazione, da uno spirito di sopravvivenza. E’ il diario dell’ultimo anno delle scuole superiori: in assoluto quello che potrei definire il periodo più bello della mia vita. Non solo spensieratezza, questa sarebbe una affermazione banale. Soprattutto forza, spirito di curiosità e scoperta, voglia di sperimentare, quindi vita. Ecco in quelle pagine ho rivisto la vitalità che non dovrebbe mai disperdersi, ma che per chissà quale arcano motivo ho visto polverizzarsi con il trascorrere del tempo. In ogni foglio ingiallito una frase, ma andando a scorrere verso la data del mio compleanno una su tutte, forse la più significativa, spicca sottolineata ed incorniciata da decori…e non ha la mia calligrafia. La riconosco: è la calligrafia di Billy.

“Ricorda che in Tibetano la definizione di “Essere Umano” è “A-Go Ba”. Significa viandante e si può anche tradurre in “Chi fa migrazioni”. Ricordalo per sempre fratello mio!”.
Ecco la frase che Billy aveva dedicato a me proprio nel giorno del mio compleanno. Ed era qualcosa che a quei tempi mi si addiceva davvero tanto perché insieme a lui non si faceva altro che fantasticare di viaggi. Si pensava di raggiungere insieme le vette più inaccessibili del Nepal o di perdersi tra le strade dei deserti americani. Ci si immaginava polverosi e soddisfatti. Ma in quella frase il senso del viaggio non era solo inteso in termini geografici: c’era molto di più. E me ne rendo conto solo oggi. Un messaggio ritrovato in un momento molto delicato della mia vita. Che altro può essere se non un biglietto in una bottiglia buttata nel grande mare del tempo? Scritto per giungere a me nel momento opportuno. “A-Go Ba”, chi fa migrazioni, un viandante che ha nella propria natura la transitorietà, e non solo da una vita all’altra (come è considerato nel buddhismo), ma anche nell’ambito anche di una singola esistenza. Il transitare costante da uno stato mentale ad un altro, da una consapevolezza di sé acerba ad una sempre più concreta. Un viaggio che non deve mai interrompersi. Come il messaggio di preghiera nelle bandiere tibetane che una volte posizionate al vento, trasportano per sempre le parole in tutto il mondo.

Eravamo appena diciottenni e Billy aveva già una saggezza che poi oggi avrei ritrovato dopo tanti anni e nonostante lo scorrere impetuoso del tempo, che in lui aveva lasciato segni indelebili ed in me solo alcune lievi crepe. Fessure che oggi però facevano imbarcare acqua alla mia nave. Quindi la chiave probabilmente è tornare all’origine, comprendere il significato reale di ciò che si è intrinsecamente: viandanti. E quindi non far altro che ripulire il proprio bagaglio liberandolo di tutto ciò che è superfluo, quel cancellare la lavagna di cui Billy mi ha parlato, e riprendere l’essenza stessa dell’essere viandante. Accettare senza resistenza la propria natura. Non aver timore di abbandonare i lidi conosciuti.
“Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita”. – Alphonse de Lamartine –
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