L’uomo con il codino

Capitava che spesso, durante il tragitto che da casa mi conduceva al lavoro, incontrassi una persona. La cosa che ci accomunava era un breve tratto di strada che percorrevamo, solitamente, su due marciapiedi opposti. Condividevamo tutte le tipologie climatiche corrispondenti alle stagioni: quando pioveva eravamo soliti stare sotto i cornicioni dei palazzi in stile liberty. Quando il sole picchiava, in estate, cercavamo l’ombra degli alberi lungo i viali della città. Sempre rigorosamente su due marciapiedi opposti. Non che lo facessimo apposta: era così e basta.

La cosa che mi colpiva di quest’uomo era il non riuscire a definirne l’età (capelli brizzolati raccolti, appunto, da un codino ma fisico agile ed asciutto). Ancora oggi non saprei dire quanti anni avesse. Ma mi rapiva il suo sorriso appena accennato ed una lieve ma solida serenità. Ogni singola volta che lo incontravo lui, agilmente e con una energia sottile, raggiungeva la sua meta. Ed io lo osservavo con curiosità ed una punta di invidia. Si perché io, ordinario essere umano, percorrevo i metri di quella strada trasportato dal vento delle mie emozioni dell’attimo in corso: un giorno ero felice, l’altro stressato o impensierito da chissà quali pesi dell’anima. Lui no, o perlomeno così appariva. Capitava quindi che ci incrociassimo ma che di certo nulla ci accomunasse se non alcune centinaia di metri d’asfalto e la vista di cumuli di immondizia sotto le meraviglie del cielo azzurro di Sicilia.

A distanza di alcuni anni oggi ci ripenso e non riesco a togliermelo dalla testa perché sono certo che nulla capiti per caso. E che lui ed io percorressimo il medesimo tratto di strada per un motivo: lo facevano affinché io lo vedessi e lui osservasse me. Lo facevamo perché un giorno, oggi, io potessi scrivere di lui. E ho la sensazione, anzi la netta convinzione, che quell’uomo con il codino, quel suo sorriso e quell’energia che quasi gli faceva sfiorare l’asfalto, derivasse da un segreto. E lo capisco solo oggi non perché mi senta più abile o maturo, ma solo grazie agli anni che sono trascorsi e che hanno lasciato il segno. E, se il trascorrere del tempo non è inutile, che mi hanno regalato un minimo di acume in più. Il segreto, ecco: quell’uomo aveva abbandonato se stesso.

La mia convinzione è che quell’uomo avesse finalmente lasciato per terra, in qualche stazione che era stata una delle sue tappe, il suo zaino, ed avesse iniziato a camminare libero dai pesi. Non credo che l’abbia fatto tutto in una volta. Immagino che sia stato graduale e che questa sequenza sia avvenuta negli anni. Quindi nel fisico, questo tempo trascorso, emergeva dalle rughe del volto e dal biancore dei capelli. Ma un processo inverso era certamente avvenuto dentro di sé: un soffio di vento che proveniva dall’infanzia lo spingeva e gli regalava, appunto, quell’incedere energico, quel sorriso, quella pacatezza.

Da anni non percorro più quella strada e quindi non ho avuto altra occasione di incontrarlo. E’ possibile che per lui io sia stato solo uno dei passanti, o forse no. Quello che mi sembra certo è che nella casualità apparente degli incontri o degli avvenimenti ci sia sempre e comunque un filo che si srotola davanti a noi.

A volte penso che forse, quell’uomo, non ero altri che io stesso ma tra 15 anni. E questo di certo potrebbe essere il motivo per cui lui, l’uomo con il codino, non avesse mai posato lo sguardo su di me ma, sorridendo, andasse avanti. Il mio possibile futuro con quella che era il mio presente con le sue banali afflizioni, non aveva proprio nulla da spartire.

Se ci incontrassimo oggi probabilmente un saluto ce lo potremmo anche scambiare, con le dovute distanze.

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Guglielmo Margio

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