Impermanence.

Ogni cosa è soggetta a cambiamento.

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Concetto difficile da comprendere. Non bisogna pensare che l’accettare questa idea sia da fatalisti o ancor peggio da nichilisti. E’ semplice constatazione di fatti che sono parte predominante della natura che ci circonda. Nulla dura per sempre, tutto è soggetto a mutazione. Capita persino a noi stessi in qualità di esseri umani: il nostro corpo e la nostra mente subiscono variazioni costanti e continue nel tempo.

Foto di Guglielmo Margio

Nei testi del Buddhismo tibetano questo concetto viene spiegato con dovizia di dettagli e legato anche alla percezione della fine dell’esistenza. La morte stessa, argomento tabù per noi occidentali, non è altro che un elemento del processo di continuo divenire da una vita all’altra. Su questa base va condotta una vita permeata da una certa moralità e comportamenti gentili, questo al fine di costruire al meglio l’esistenza successiva. Ma si deve in qualche modo accettare l’idea di reincarnazione e non è detto che si sia disposti a farlo. In ogni caso,in qualche modo, è necessario accettare che, prima o poi, si sia destinati a passare il confine.

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L’idea di Impermanenza dei fenomeni può comunque aiutare nella vita di tutti i giorni. Bisogna però affrontare l’argomento in modo semplice e da persone ordinarie, evitando ogni tentazione ad elevarsi a maestri Zen o pretendere di essere dei profondi conoscitori delle filosofie orientali. Per rendere l’idea si potrebbe descrivere come un tappeto elastico sotto i piedi. Cosa accade quando ci si salta sopra? Nell’elevarsi si vede il mondo da una prospettiva diversa, nel discendere ogni dettaglio della realtà appare sotto una luce nuova. Ecco, comprendere il concetto di impermanenza consente in qualche modo di fare ciò: guardare la propria ed altrui esistenza con una visione più allargata e, come citato prima, elastica.

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Pensare ad esempio che una situazione spiacevole non debba durare per sempre, concentrarsi sul fatto reale che anche in passato, quando si è subìto un evento non propizio, si sia poi tramutato in qualche altra cosa, fornisce una spinta interessante nel non abbandonarsi alla propria condizione. Spinge ad esempio ad analizzare il proprio ed altrui passato facendo apparire chiaro come nulla duri per sempre. Se solo ci si ferma con attenzione si riesce anche a percepire chiaramente la propria forza nel reagire. E partendo da ciò è possibile, se solo lo si vuole, indagare con spirito di analisi il concatenarsi di eventi passati con il presente. E darsi anche qualche spiegazione.

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Comprendere quindi che ogni cosa tende a non durare per sempre, soprattutto se si tratta di stati d’animo collegati ad eventi anche traumatici, rende più agevole una reazione ed in qualche modo regala un predisposizione mentale positiva. Non è però corretto pensare che un atteggiamento passivo aiuti il processo. Anche se è vero che il cambiamento permea in modo quasi automatico ogni evento naturale, il non fare nulla non è propriamente indicato per superare momenti di crisi. Ed anche in questo caso il concetto di impermanenza può aiutare molto. In che modo?

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Se ci si trova in una condizione spiacevole e di disagio, se si è subìto un evento disturbante, pensare che ogni cosa cambi e possa da sola tramutarsi in meglio non basta. Può rendere immobili. Ecco che allora può soccorrerci l’altro aspetto intrinseco nell’idea di impermanenza: godere del meglio che la vita propone per il solo fatto di essere, appunto, ancora vivi. Checché se ne dica, per quanto occidentali si possa essere, non ci si può esimere da questo stato di fatto. Che poi non ci si voglia pensare perché è da “sfigati” è tutt’altra storia. Un’altra giustificazione che si aggiunge alle distrazioni del vivere quotidiano e che ci fa sentire eterni. Ma è un illusione, ovviamente.

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Nello sforzo, che a volte però può essere imponente, di trovare una vera motivazione in tutto ciò, risiede l’altro aspetto del concetto di impermanenza che può dare un contributo non indifferente alle azioni poste in essere durante periodi bui della propria vita. E’ il concetto di non permanenza dei propri stati mentali. Ed in questo, a mio modesto avviso, risiede la chiave di tutto. Ogni cosa esterna a noi, secondo sempre gli insegnamenti Buddhisti, non è altro che frutto della nostra percezione. Troppo complesso? Non proprio. Vediamo perché.

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Il famoso “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto” altro non è che un esempio di quanta praticità risieda nei concetti più complessi. Ogni nostro stato mentale, il nostro umore, è sempre originato da noi stessi. E noi stessi, inutile negarlo, siamo l’emblema della non durevolezza, della variabilità. Capita di arrabbiarsi ma se il nostro stato naturale fosse quello ed immutabile…saremmo sempre arrabbiati: vivremmo dalla nascita alla morte in quello stato. Ma si sa bene che non è così. Lo stesso dicasi per stati mentali euforici o semplicemente sereni. Una sola realtà lega tutte queste condizioni: anch’essi, come la realtà esterna, non durano.

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Accettare quindi di essere mutevoli, comprendere le dinamiche che portano a gioia o tristezza, essere compassionevoli con sé stessi quando si è giù di morale e non lasciarsi trascinare in modo eccessivo da condizioni favorevoli, contrasta ed influisce sulla realtà esterna che muta con noi stessi. E questa realtà può lentamente divenire più equilibrata, più serena, più aderente a sé stessa. Ma non è semplice metterlo in pratica. Questo è il motivo per cui secoli e secoli di insegnamenti hanno indicato la Meditazione per approfondire e consolidare alcuni concetti. Ma non è questa la sede per discuterne.

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Assodato quindi che non si trovi mai il tempo per fermarsi, figurarsi per meditare, concediamoci almeno un tappeto elastico da portare sempre sotto braccio. All’occorrenza trovare un piccolo spazio aperto, montarlo con cura e quindi, preso un bel respiro, montarvici su con un certo entusiasmo. Ogni momento che aiuta ad avere una angolazione diversa della realtà e che ci sembra statica ed immutabile, aiuta ad affrontare meglio situazioni difficili, a reagire e soprattutto a trovare soluzioni. A vivere, insomma…e non è poi così male.

Al prossimo Post.

Guglielmo Margio.

Foto di Guglielmo Margio e dal Sito Unsplash.com.

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