In penombra.
Da ragazzo mi recavo spesso in riva al mare, era pieno inverno e guardavo, avvolto meglio che potevo nel mio giubbotto in pelle, incrociarsi le correnti dello Stretto. Mi si affollavano nella mente le immagini dei miti, Scilla e Cariddi che afferravano tra le loro grinfie le navi di coraggiosi capitani. Respiravo a pieni polmoni ed il vento era come una lama che infieriva sulla mia faccia da ventenne. Non mi capitava spesso di essere in compagnia in quei momenti: una scelta ponderata. Necessitavo di silenzi, ascoltare esclusivamente il rumore del mare che mi parlava non solo con le onde ma anche con i suoi colori.
Una sorta di meditazione inconsapevole e ancestrale mi proiettava in alto e rituffava giù nel nero delle profondità, esattamente dove la pericolosa frattura, che tante morti ha causato, mi risputava fuori. Ascoltavo l’esterno e l’interno. Voci di pescatori, reti avvolte sulle barche colorate all’ombra di un mostro di ferro altissimo e simile alla Tour Eiffel. Un affollamento nella mia mente già troppo discorsiva nonostante la giovane età (o forse proprio a causa della giovane età).
Mi ritrovai un giorno, il 30 di dicembre, proprio davanti a quello spettacolo di fumi creati dagli spruzzi delle onde davanti ai gorghi dell’acqua che ribolliva esattamente al centro delle due sponde tra Messina e Reggio Calabria. Il 30 dicembre: un giorno che non significa molto. Si trova esattamente nel mezzo tra i rimpianti ed i buoni propositi. Iniziai a correre sulla spiaggia senza un apparente motivo, sentì come una spinta : probabilmente fu una raffica di vento a darmi l’avvio.
Mi sentivo proprio come il 30 dicembre, non sapevo ancora quale fosse il mio ruolo nel mondo verso cui mi avvicinavo, chi avrei rappresentato nel grande spettacolo che mi sarei accinto ad interpretare. Ero in balia di emozioni forti ma non identificabili. Con il fiato corto mi fermai di colpo, appoggiai le mani sulle ginocchia ansimando. Davanti a me solo mare aperto: mi ero allontanato molto dal punto di partenza. Sedetti di colpo sulla sabbia umida e fu allora che compresi l’importanza di essere il penultimo giorno dell’anno.
Proprio come il 30 dicembre, che sfugge tra l’attesa dell’ultimo giorno ed il primo dell’anno successivo, non è sempre necessario essere al centro dell’attenzione. Il penultimo giorno dell’anno ha come dei colori pastello: non è appariscente. Ma senza di lui, che è una sorta di anello di congiunzione, ogni cosa si fermerebbe. Una moltitudine di persone sono il penultimo giorno dell’anno. Umili e silenziose creano la base di un quadro dai mille colori. Ecco, proprio come il 30 dicembre, avevo deciso di interpretare con fierezza questo ruolo qualora fosse stato necessario. Nonostante avessi vent’anni e immaginassi di ingurgitare il mondo giocando un ruolo da protagonista.
Fu uno dei pochi attimi di maturità che ho potuto sperimentare e che io ricordi di aver avuto anche in età adulta. Ancora oggi, quando mi fermo e chiudo gli occhi sforzandomi di rivivere quel momento, sento tutte le sfumature dell’aria salmastra, rivedo ogni singola tonalità del blu del mare e provo una grande serenità nell’accettare di essere il 30 dicembre.
Silenzioso, nascosto tra le pieghe di un calendario entusiasmante, fondamentale ma mai osannato. Orgoglioso della mia “penultimita’”.
Buon 2019 a tutti Voi.
Al Prossimo Post.
Guglielmo Margio.
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