Storia di un bambino diventato adulto in un Container.
Sono nato e cresciuto in una città di mare, un mare attraversato da impetuose e mitiche correnti. Mio nonno, Gianni, da piccolo mi chiamava “fantolino” ma non ho mai capito cosa significasse davvero. Credo fosse un diminutivo totalmente inventato ed a me piaceva tanto sentirglielo pronunciare. Aveva una vera passione per il mare anche se non sapeva minimamente nuotare e questo, quando io lo scoprì, mi lasciò meravigliato.
Una delle ultime volte in cui mi ci sono seduto accanto, in balcone ad osservare il mare di sera, la sua mente si soffermava sempre sul ricordo delle lampare. Su quel riflettersi ed illuminare la sua superficie di tanti anni prima. Non ricordava più nemmeno chi io fossi…ma perfettamente quelle luci sulle onde, di quando da giovane andava in barca a pescare, di notte…anche se non sapeva nuotare.
Voleva che io diventassi “capitano di lungo corso” ed anche se allora, che ero un bambino, non sapevo cosa potesse significare, già mi immaginavo con un grande cappello ed una pipa davanti al timone di una nave. Quando poteva mi sdraiava sul letto e, per fare in modo che io diventassi più alto, mi faceva afferrare con le mani alla testiera e tirandomi per i piedi diceva : “Stirati, fantolino…stirati!”. Considerati i miei 176 centimetri scarsi di altezza non credo che abbia sortito gli effetti sperati.
Non sono mai diventato ciò che lui immaginava ma su una nave ci sono comunque finito ed è stato il mio primo lavoro “serio”. Non ricordo esattamente, ma credo di avere avuto poco più di vent’anni quando iniziai presso un cantiere navale nella mia città. Mansioni : le più disparate. Dal pulire le stive delle petroliere al collaudo dei ponti sospesi.
Il primo giorno.
Gli spogliatoi erano ricavati in un container e quando entrai vidi una cosa che mi lasciò stupito. Sul soffitto erano appesi tutti i sacchetti di plastica che contenevano il cibo degli operai. Quando chiesi il motivo, la risposta fu :”Mettilo anche tu se non vuoi che il tuo pranzo se lo mangino i topi…”.
Ecco il giorno in cui ho sentito di essere uscito dall’infanzia. Nell’infanzia c’è sempre una sorta di protezione che ti avvolge e rende ovattato il mondo esterno. Ci sono genitori che ti proteggono ed assumi una certa sicurezza nel guardare il mondo, hai fiducia nel futuro.
Non ci sono topi che possono portare via il tuo pranzo.
Quello fu il giorno in cui ho pianto per la prima volta da adulto. Da quel momento in poi ho come avuto la sensazione, che ancora oggi perdura, che questo crescere non abbia mai fine.
Partendo da certi ricordi sento oggi sempre di più il bisogno di chiudere il cerchio. Non dico che si debba ritornare ad essere bambini, ma almeno tentare di ritrovare un minimo di quello che si è stati. Non avere vergogna di “sognarsi” con un grande cappello ed una pipa al timone della propria vita.
Tu che ne pensi? Il mio pensiero è che ci sia un tempo per essere bambini ed un tempo per crescere e diventare adulti, volenti o nolenti. Ma ad un certo punto del percorso credo che debbano convivere entrambe le cose.
Tornare a navigare? Forse si. Ci sono momenti in cui si rende necessario uscire sul ponte di comando.
Da tempo avevo il desiderio di scrivere alcuni ricordi e farlo dedicandolo a mio nonno Gianni mi ha dato sollievo. Ecco una sua foto mentre guarda il panorama delle Isole Eolie…possa riposare tra le onde del miglior mare possibile. Non gli servirà di certo saper nuotare.
Al prossimo Post.
Foto da Unsplash.com